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ANSIA PRE-GARA E PRESTAZIONE SPORTIVA

ANSIA PRE-GARA E PRESTAZIONE SPORTIVA

CAPITOLO 1

Definizioni: Attivazione e Ansia pre-gara

Per comprendere meglio il concetto di attivazione ottimale, devono essere prima di tutto chiariti alcuni termini. Quando si parla di “arousal” ci si riferisce solitamente al livello di attivazione di componenti fisiologiche e psicologiche, e può variare da uno stato di sonno profondo fino alla frenesia. Questa attivazione può essere misurata sia attraverso rilevazioni psicofisiologiche (conduttanza cutanea, frequenza cardiaca, potenza  delle Frequenze EEG), comportamentali (tempi di reazione, accuratezza nei compiti, ecc.) ma anche attraverso la percezione soggettiva dei livelli di attivazione mediante l’utilizzo di scale psicometriche. Il termine “ansia” si riferisce solitamente invece a stati emotivi negativi, generalmente caratterizzati da preoccupazione, nervosismo e apprensione.

In passato, nella letteratura scientifica sportiva, attivazione e ansia sono stati usati in modo intercambiabile e in riferimento ad aspetti negativi della prestazione (Kleine, 1990). Per esempio, sono stati riportati da atleti sentimenti di “soffocamento” vissuti durante la prestazione e questi sono stati considerati come risultanti da livelli incontrollati di attivazione e di ansia.

Più recentemente, è stato riconosciuto che entrambe, l’attivazione e l’ansia, possono avere una funzione facilitante come al contrario ostacolante nella prestazione, a seconda della tipologia dello sport considerato e delle caratteristiche individuali dell’atleta (es., Jones & Swain, 1992; Mellalieu et al., 2003).

Approfondendo il concetto generale di ansia, ci sono due sottocomponenti che formano questo costrutto, ossia l’Ansia di Tratto (Trait Anxiety, TA) e l’Ansia di Stato (State Anxiety, SA). L’ansia di tratto riguarda la predisposizione con cui gli atleti “entrano” nella pratica sportiva, una predisposizione che è parte integrante della loro personalità e che può produrre differenti reazioni comportamentali di attivazione.

L’ansia di tratto è definita nello specifico come riguardante quelle “…differenze individuali relativamente stabili in propensione all’ansia, … le differenze tra le persone nella tendenza a rispondere a situazioni percepite come una minaccia con aumenti di intensità dello stato di ansia…” (Spielberger et al., 1970).

L’ansia di stato, invece, è definita come “una temporanea modificazione dello stato emotivo soggettivo verso sentimenti percepiti di apprensione e tensione, associati con l’attivazione del sistema nervoso autonomo” (Spielberger, 1966).

Diversamente dall’ansia di tratto, che è una predisposizione, l’ansia di stato permette all’atleta un continuo mutamento del proprio stato prima, durante e dopo la competizione. Per esempio, un giocatore di calcio può sentirsi molto ansioso prima del calcio d’inizio, mostrare un battito cardiaco accelerato e una abbondante sudorazione delle mani, ma una volta che la palla è stata calciata i livelli d’ansia diminuiscono, la sua frequenza respiratoria e del battito cardiaco rallentano. Questi livelli potrebbero cambiare di nuovo, se si dovessero presentare della situazioni particolari nello svolgimento della gara (goal fatti o subiti, azioni di gioco rilevanti, ecc.). In questo esempio si sottolineano gli aspetti “fisici” dell’ansia; ma vi sono anche aspetti mentali collegati all’ansia che coinvolgono l’atleta.

Entrambi questi aspetti di ansia, fisica e mentale, possono riguardare lo stato d’ansia vissuto e si possono differenziare rispettivamente in aspetti somatici e cognitivi dell’ansia. L’ansia somatica è la percezione della propria attivazione fisiologica, che può variare di momento in momento. E’ stata considerata una risposta non-valutativa, che ad esempio in ambiente sportivo può essere vissuta durante le routine del pre-gara o per la paura di riportare danni fisici (Martens et al.,1990). L’ansia cognitiva, invece, si riferisce ai pensieri negativi e alle preoccupazioni che si hanno, ed è stato visto che questi pensieri possono riguardare elementi dell’ambiente che influenzano le percezioni di successo e fallimento, per esempio la percezione del livello di abilità proprio o dell’avversario (ad es., Lane et al., 1997).

Prima di procedere oltre è importante sottolineare il fatto che attualmente il termine “ansia” si ricollega ad un particolare stato emotivo negativo, ma tale tipo di associazione andrebbe rivista alla luce del fatto che aspetti cognitivi e somatici dell’ansia possono assumere un significato positivo. Sarebbe utile sviluppare un nuovo termine per descrivere l’interpretazione positiva di ciò che ora viene chiamato ansia, o forse la definizione di ansia dovrebbe subire qualche modifica ed includere sia gli aspetti positivi che negativi, come distress (stress negativo) ed eustress (stress positivo), che vengono utilizzati per la ricerca sullo stress (Lazarus, 2000; Selye, 1983).

CONSULENZA PULSANTE

Stato d’ansia pre-gara e relazione prestazione-ansia

In passato l’ansia è stata studiata come un costrutto unidimensionale mentre, come visto sopra, recentemente ne è stata riconosciuta e sottolineata la struttura multidimensionale, accettata anche nell’ambito della ricerca in psicologia dello sport (Craft et al., 2003). Valutando gli aspetti multidimensionali dell’ansia, i ricercatori hanno ottenuto informazioni relative allo stato generale d’ansia cognitiva e somatica e al suo impatto sulle prestazioni sportive.

Gli studi presenti in letteratura hanno identificato l’ansia di stato prima di una competizione come uno dei principali fattori che contribuiscono alle prestazioni ottimali nello sport (ad es., Harger & Raglin, 1994). È stato riscontrato che l’ansia cognitiva pre-competitiva assume valori elevati che rimangono relativamente alti e stabili all’inizio della competizione (Fenz & Jones, 1972). L’ansia somatica, invece, ha livelli relativamente bassi fino a circa 24 ore pre-gara, dopodichè si comincia a notare un rapido e significativo aumento dei suoi valori all’avvicinarsi dell’inizio della gara (Krane & Williams, 1987). Per tutta la durata della competizione, i livelli di ansia cognitiva variano in risposta alla probabilità di successo/insuccesso, mentre è stato osservato un rapido declino nei valori dell’ansia somatica (Wiggins, 1998). Le incongruenze in queste relazioni osservate in alcuni studi sono state attribuite al fatto di aver posto l’attenzione sull’intensità dell’ansia, senza però considerare l’aspetto direzionale di essa (Jones, 1995).

Misure d’ansia somatica e cognitiva: vantaggi e svantaggi

L’ansia pre-gara può essere misurata in vari modi, attraverso misure fisiologiche (come la frequenza cardiaca e la frequenza respiratoria), oppure attraverso misure self-report, con questionari carta e matita. Entrambi i metodi di misurazione presentano vantaggi e svantaggi.

Le misure fisiologiche primo hanno l’indubbio vantaggio di avere una natura oggettiva e per ottenere tali misure inoltre non è necessaria la consapevolezza di sé, poiché gli atleti non devono essere in grado di riflettere sulle loro prestazioni e sui loro sentimenti per dare modo ai ricercatori di registrare le informazioni di interesse. Infine, si evitano interruzioni causate dalle richieste dei ricercatori per la somministrazione dei questionari, che rischiano di alterare le routine di riscaldamento o della prestazione. Ci sono però anche diverse limitazioni nell’utilizzo delle misure per rilevare l’ansia fisiologica. La prima riguarda le differenze individuali, poiché il valore d’ansia fisiologico potrebbe non essere semplicemente causato da una reazione di tipo ansioso, bensì essere un meccanismo utilizzato per far fronte in modo efficace alla propria ansia. Alcuni atleti possono mostrare un aumento della frequenza cardiaca, ma non riferire sensazione di ansia, mentre altri possono provare un leggero aumento della frequenza cardiaca e ritenerlo estremamente dannoso per le proprie prestazioni. Quindi i ricercatori non hanno un set di risposte “standard” per interpretare le risposte fisiologiche. Inoltre, le misure fisiologiche non possono essere accuratamente rilevate a causa della presenza del continuo movimento corporeo degli atleti. Infine, è difficile distinguere tra ciò che costituisce l’ansia fisiologica e un’attivazione fisiologica, dal momento che possono manifestarsi nello stesso modo. A causa delle suddette limitazioni, per misurare l’ansia la maggior parte dei ricercatori in psicologia dello sport hanno scelto di utilizzare misure self-report, in genere sotto forma di questionari carta e matita (Harger & Raglin, 1994), che soprattutto negli ultimi tempi sono state incrociate con le misure fisiologiche per avere una informazione più completa del funzionamento generale dell’individuo.

Le misure self-report hanno infatti anch’esse dei limiti poiché la loro interpretazione è soggettiva e inoltre disturbano la condizione pre-gara, ma i ricercatori hanno sviluppato strumenti per controbilanciare queste limitazioni. Ad esempio, in uno studio sul rugby, per ridurre l’interferenza sulla prestazione sono stati modificati i tempi di somministrazione dei questionari, impiegando le procedure di monitoraggio una volta a settimana (D’Urso et al., 2002).

Le prime ricerche nelle quali è stata studiata la relazione ansia-competizione hanno utilizzato, per la misura dell’ansia, il questionario self-report di Spielberger, ossia il famoso State-Trait Anxiety Inventory (STAI) (Spielberger C.D. at al., 1970). Questo strumento permette una misura self-report dei livelli di ansia sia di stato che di tratto, in due serie separate di 20 domande per ciascuna scala. Questo tipo di misura, pur utilizzata spesso nella letteratura scientifica, è stata criticata proprio per il fatto della sua separazione tra ansia di stato e ansia di tratto. Diverse teorie, tra cui la teoria multidimensionale dell’ansia e la teoria delle zone individuali di funzionamento ottimale che verranno presentate in seguito, hanno proposto infatti che i due tipi di ansia interagiscano per influenzare le prestazioni.

E’ importante discutere anche di un ulteriore strumento di misura, che è stato regolarmente utilizzato nella ricerca in passato. Il Competitive State Anxiety Inventory (CSAI) sviluppato da Martens e colleghi nel 1980. Questo strumento nasce al fine di misurare l’ansia tipicamente concorrenziale connessa alla pratica sportiva e si è rivelato più preciso nel misurare l’ansia pre-gara rispetto agli strumenti utilizzati in precedenza (Martens et al., 1980). Successivamente, non appena emerse più fortemente la natura multidimensionale dell’ansia, anche questo strumento è stato meno utilizzato e Martens e colleghi (1990) hanno modificato lo CSAI per includere sia l’ansia di stato cognitiva che quella somatica, aggiungendo inoltre una scala sulla self-confidence. La versione finale della CSAI-2, quella più utilizzata oggi, comprende dunque tre sottoscale:  ansia di stato somatica, ansia di stato cognitiva e self – confidence.

Teoria della U invertita

La Teoria della U invertita è stata sviluppata da Yerkes e Dodson nel 1908, e ipotizza che il rapporto tra la prestazione e l’attivazione sia di tipo curvilineo e prenda la forma di una U capovolta (Figura 1). Questo modello concettuale è stato utilizzato anche per spiegare la relazione tra prestazione e ansia (Gould & Tuffey, 1996) utilizzando i termini “arousal” e ansia pre-gara in maniera intercambiabile per caratterizzare la stessa condizione.

Si assume che tutti gli atleti raggiungano prestazioni ottimali all’interno di una gamma di valori medi del continuum dei livelli di eccitazione. Se i livelli di eccitazione sono troppo bassi o troppo alti, gli atleti sperimenteranno una performance scadente. Mentre se l’atleta sta vivendo un livello di arousal moderato le sue prestazioni risulteranno ottimali.

attivazione prestazione secondo il modello della u rovesciata

attivazione prestazione secondo il modello della u rovesciata

Figura 1. Rappresentazione della relazione attivazione-prestazione secondo il modello della U-invertita. Tratta da Williams et al. (1993)

Oltre alle previsioni generali sul rapporto eccitazione-performance, questa teoria fornisce anche un modello previsionale per la prestazione sport-specifico (Yerkes & Dobson, 1908). Si ipotizza che per le attività motorie che non richiedono movimenti fini occorrano elevati livelli di eccitazione per raggiungere prestazioni ottimali. Mentre l’opposto sarebbe vero per i compiti motori “fini”, per l’esecuzione ottimale dei quali sono richiesti bassi livelli di eccitazione. Ad esempio, in un compito motorio fine come il golf, gli atleti con bassa attivazione avranno un risultato migliore. In uno sport come il sollevamento pesi, invece, gli atleti dovranno possedere alti livelli di attivazione per raggiungere una buona prestazione (Figura 2).

 

attivazione prestazione sport specifico

Figura 2. Rappresentazione della relazione attivazione-prestazione di tipo sport-specifico. Tratta da Williams et al. (1993)

Inoltre, la teoria tenta di spiegare anche le differenze in relazione al livello di eccitazione e di abilità. Per i principianti sono richiesti bassi livelli di attivazione per il raggiungimento di un buon risultato, poiché un’attivazione troppo elevata può portarli ad uno scarso rendimento. Al contrario, per gli atleti di alto livello vengono richiesti elevati livelli di attivazione (Williams et al., 1993) (Figura 3).

attivazione specifica per atleta

Figura 3. Rappresentazione della relazione attivazione-prestazione specifica per atleta. Tratta da Williams et al. (1993)

La teoria della U rovesciata è stata la teoria più utilizzata dai ricercatori che hanno indagato l’ansia pre-gara fino ad oggi (Gould & Tuffey, 1996) e numerosi studi hanno fornito supporto alle sue ipotesi (ad es., Arent e Landers 2003).

Un supporto parziale è stato fornito alla teoria da Martens e Landers (1970). Questi autori hanno diviso studenti maschi praticanti sport in tre gruppi sulla base dei loro livelli di ansia di tratto (alti livelli, moderati e bassi) e li hanno sottoposti a tre livelli distinti di stress psicologico. I risultati dimostrano che prendendo separatamente le due variabili (ansia e compito stressante) questa relazione rispettava l’andamento proposto dalla teoria dell U invertita, mentre quando si andavano a combinare le due variabili questo andamento non veniva più rispettato.

Recentemente si sono riscontrati numerosi limiti della teoria e le sono state mosse una serie di critiche. La critica principale è relativa al fatto che un atleta deve avere livelli di attivazione moderati per poter avere una prestazione ottimale (Landers & Arent, 2001). Anche se la teoria distingue tra sport e tra i livelli di abilità, non riconosce le differenze individuali tra gli atleti in una stessa disciplina e allo stesso livello. Questa limitazione potrebbe essere dovuta alla natura unidimensionale della teoria (Krane, 1992). Un’altra critica significativa alla teoria è relativa  alla sua “invulnerabilità”, cioè alla sua non falsificazione (Neiss, 1988). Ogni teoria per essere considerata scientifica, infatti, deve ammettere la possibilità di essere “falsificata” (Popper, 1963). Neiss (1988) afferma che la teoria fornisce dichiarazioni universali che possono essere modulate per adattarsi a qualsiasi risultato che emerge dalla ricerca. Quando un giocatore di golf fornisce una performance scadente anche mostrando livelli adeguati di attivazione rispetto al tipo di sport e al suo livello di esperienza, la teoria potrebbe far ricorso, per spiegare l’esito della prova, al fatto che per quel tipo di prova erano richiesti livelli di attivazione più alti poiché le azioni da svolgere lo richiedevano. La teoria avrebbe dunque una capacità esplicativa della relazione tra ansia e performance, mentre la sua capacità predittiva sarebbe scarsa.

Reversal Theory

Partendo da queste critiche, sono state proposte quattro principali alternative alla Teoria della U invertita.

La prima di queste teorie è l’applicazione che Kerr (1997) ha fatto in psicologia dello sport della Reversals Theory di Apter (1982). Ancora una volta, come per la teoria della U rovesciata, l’attivazione e l’ansia sono usati in modo intercambiabile per rappresentare lo stesso costrutto.

Il principio di base della Reversal Theory è che le prestazioni sono influenzate dall’interpretazione dell’attivazione che le accompagna. Questa interpretazione è collegata agli stati metamotivazionali degli atleti, che possono essere più giocosi e verso la ricerca di divertimento (Telico) oppure più seri e orientati al compito (Paratelico). La teoria postula che quando l’atleta è in uno stato telico, l’elevata attivazione verrà interpretata come ansia sgradevole, mentre se la stessa attivazione viene vissuta in uno stato paratelico, assumerà un valore eccitante. Quando un atleta avverte una bassa attivazione in uno stato telico, l’interpretazione che ne deriva è probabilmente quella di rilassamento, mentre se la stessa attivazione viene vissuta in uno stato paratelico, potrebbe essere vissuta come noia. La teoria prevede che possano avvenire rovesciamenti (reversals) da uno stato metamotivazionale all’altro, a causa di eventi contingenti, condizioni frustranti, saturazione. Sebbene ogni persona abbia una predisposizione verso un certo stato metamotivazionale, può spostarsi verso l’opposto in base a tali eventi.

E’ stato descritto che gli atleti maggiomente paratelici, seri e orientati al compito, esprimono livelli più bassi di ansia somatica caratterizzata da un minor ritmo cardiaco e minore tensione muscolare, anche di fronte a condizioni estremamente attivanti. Mentre gli atleti maggiormente telici, quando sono esposti ad una situazione eccitante, come una competizione sportiva, esprimono elevati livello di sintomi somatici, mostrando un aumento della frequenza cardiaca e della tensione muscolare (Svebak e Murgia, 1985).

I risultati presentati dalla Reversal Theory sono stati aggiornati da Jones (1995) e inclusi, in parte, nel modello facilitante/ostacolante, un modello che prende in considerazione la possibilità che qualche fattore di stress si verifichi nell’ambiente sportivo dell’atleta (ad esempio, competere in una partita di campionato). Il modo in cui questo fattore di stress viene vissuto dipende dalle caratteristiche individuali, tra cui i livelli della propria autostima. Questa esperienza permetterà poi all’atleta di percepire un determinato livello di controllo sul fattore di stress. Se l’atleta sente di poter esercitare il controllo sul fattore di stress, quest’ansia sarà interpretata come facilitante. Mentre se l’atleta sente di avere uno scarso controllo e di non poter far fronte al fattore di stress, quest’ansia risulterà ostacolante. E’ stato visto che l’ansia di tipo facilitante migliora le prestazioni mentre l’ansia ostacolante al contrario le peggiora (Jones, 1995). Valutando le differenze tra ansia facilitante e ostacolante, Jones e Swain (1995) hanno condotto uno studio con giocatori di cricket di sesso maschile, che sono stati divisi in due gruppi, élite e non-elite. Ad ogni atleta è stata valutata l’ansia prima della competizione. Nessuna differenza è stata notata tra i due gruppi rispetto all’intensità dell’ansia. Mentre delle differenze significative sono state riscontate per quanto riguarda la direzione dell’ansia. In particolare, il gruppo degli atleti d’elite interpretava sia l’ansia somatica che quella cognitiva come fattori facilitanti rispetto al gruppo non-élite, il che significa che gli atleti con livelli di competenza più elevati hanno costantemente riportato l’ansia come elemento positivo, mentre gli atleti con un livello di competenze inferiore ritenevano la loro ansia come un aspetto negativo ai fini della prestazione.

La Reversal Theory, compresi gli sviluppi nel modello facilitante/ostacolante, ha fornito contributi fondamentali alla comprensione della relazione attivazione/performance. Innanzitutto ricordiamo il riconoscimento dell’aspetto direzionale di ansia. Inoltre, i possibili reversals implicano una chiara mutevolezza dello stato d’ansia soggettivo, sottolineando il bisogno di un approccio complesso allo studio della relazione attivazione/performance. Infine, data l’influenza delle metamotivazioni, la teoria sottolinea la possibilità di sviluppare interventi cognitivi che mirano a modificare l’interpretazione della sua attivazione da parte dell’atleta, permettendo quindi anche ad alti livelli di ansia di favorire la prestazione.

Teoria multidimensionale dell’ansia

La seconda teoria alternativa alla teoria della U invertita è la Teoria dell’ansia Multidimensionale (Martens et al., 1990). Come il nome suggerisce, questa teoria riconosce l’ansia pre-gara come un costrutto multidimensionale.

La teoria distingue tra le due sottocomponenti di ansia di stato, riconoscendo che ogni sottocomponente – cognitiva e somatica – si collega alla prestazione in modi differenti.

Nello specifico questa teoria assume che l’ansia di stato cognitiva è correlata negativamente alla performance (Martens et al., 1990). Di conseguenza, un aumento nei livelli di ansia cognitiva diminuisce le prestazioni. Al contrario, l’ansia somatica si ritiene essere collegata alla prestazione in forma di U rovesciata, in modo tale che un suo aumento oltre la zona ottimale di valori può causare un costante calo delle prestazioni.

Le ipotesi della teoria multidimensionale dell’ansia sono state verificate nei tiratori di pistola (Gould et al., 1987) e nei nuotatori (Burton, 1988). Entrambi gli studi hanno confermato che tra ansia somatica e prestazioni esiste una relazione ad U invertita. Inoltre nei risultati ottenuti da Burton si è rilevata anche una relazione lineare negativa tra ansia cognitiva e prestazione.

Sebbene questa teoria sia stata di sostegno in letteratura per la distinzione tra ansia somatica e cognitiva, così come per il riconoscimento dell’influenza che entrambe esercitano sulla prestazione, c’è stato poco sostegno empirico per i suoi principi. Le critiche principali che le sono state mosse riguardano appunto lo scarso supporto empirico, soprattutto riguardo alla nozione che l’ansia cognitiva abbia un impatto negativo sulla prestazione in tutti i casi, e la sua incapacità di fornire previsioni precise. Per tali ragioni la teoria è attualmente ritenuta di poca utilità per la ricerca.

Modello della Catastrofe

La terza alternativa alla teoria della U invertita è il Modello della Catastrofe di Hardy e Fazey (1988). A differenza della teoria multidimensionale dell’ansia, il modello della catastrofe si concentra sull’intricata interazione tra ansia di stato cognitiva, attivazione fisiologica e prestazioni.

Il modello della catastrofe considera l’ansia somatica come una sottocomponente dell’attivazione fisiologica (Gould & Krane, 1992). Essa afferma che il rapporto tra ansia di stato somatico e prestazioni segue il modello ad U invertita solo quando l’ansia cognitiva è bassa. Se in qualsiasi momento l’atleta comincia a preoccuparsi o viene preso da pensieri negativi, la sua ansia cognitiva salirà fino ad un punto ottimale, oltre il quale l’atleta incorrerà in una “catastrofe”. Questa catastrofe è caratterizzata da un rapido e drastico calo delle prestazioni (parte destra in Figura 4) e una volta che si è verificata, l’atleta dovrà affrontare un lungo processo di recupero, prima di essere in grado di ottenere di nuovo prestazioni ottimali.

modello della catastofe

Figura 4. Rappresentazioene del modello della Catastrofe. Tratta da McNally (2002)

Secondo il modello, prestazione e ansia cognitiva mostreranno una correlazione negativa quando l’attivazione fisiologica sarà alta, e correlazione positiva quando l’attivazione fisiologica sarà bassa. In altri termini, in presenza di basso arousal all’aumentare dell’ansia cognitiva avremo una migliore performance, mentre in presenza di alto arousal all’aumentare dell’ansia cognitiva avremo un abbassamento della performance. Secondo la teoria della catastrofe, dunque, l’ansia cognitiva non è necessariamente dannosa per le prestazioni, nel senso che fino a quando i livelli di attivazione fisiologica non sono troppo alti, qualche preoccupazione può portare benefici alla prestazione (Gould & Krane, 1992).

Nel tentativo di testare il modello, i ricercatori che lo hanno proposto hanno manipolato i livelli sia dell’ansia cognitiva che dell’attivazione fisiologica. Ad esempio, mantenendo alti i livelli dell’ansia cognitiva e successivamente aumentando l’eccitazione fisiologica è stato notato un calo catastrofico nelle prestazioni degli atleti studiati (ad es., Hardy et al., 1994). In congruenza con l’ipotesi che bassi livelli dell’ansia cognitiva non influiscono sulle prestazioni, sono stati riscontrati cambiamenti minimi in termini di prestazioni quando l’ansia cognitiva è stata mantenuta bassa e l’eccitazione fisiologica progressivamente aumentata.

Il contributo fondamentale del modello della catastrofe è l’identificazione dell’aspetto positivo dell’ansia cognitiva. Tra gli aspetti negativi va ricordato il fatto che, per iniziare a testare il modello, un atleta deve prima di tutto aver avuto esperienza di un catastrofico declino nella sua performance. Questo solleva un problema di principio perchè non si possono portare gli atleti a fallire. Un altro limite sta nell’impossibilità da parte degli atleti di dare accuratamente segnalazione dei propri eccessivi livelli di ansia. Krane e Williams (1987) hanno osservato che alcuni atleti reprimono i loro veri sentimenti e anche i livelli di ansia, così come manifestano falsi livelli di autostima. Infine, va ricordato il fatto che il numero di studi condotti per testare il modello è ancora ridotto e che, nella maggioranza dei casi, si tratta di ricerche condotte dallo stesso piccolo gruppo di studiosi (McNally, 2002).

Conclusioni

La quarta alternativa da discutere (vedi Capitolo 2) riguarda il modello utilizzato in questo lavoro, ossia il modello psicobiosociale di Hanin (1978, 2000, 2007) delle Zone Individuali di Funzionamento Ottimale (Individual Zone of Optimal Functioning, IZOF). A differenza del carattere eccessivamente semplicistico e unidimensionale della Teoria della U rovesciata, l’IZOF considera l’importanza della multidimensionalità per la quale si prende in considerazione sia l’ansia somatica che quella cognitiva, così come la fiducia in sè. Vi è anche un’abbondanza di ricerche empiriche che sostengono i principi del modello, a differenza della Reversal Theory e del Modello della Catastrofe, i quali hanno favorito poca ricerca empirica. Questo modello ha anche molte similitudini con il modello direzionale di Jones citato precedentemente con cui è stato confrontato (Robazza at al., 2008).