EMOZIONI E SPORT: L’APPROCCIO IZOF
CAPITOLO 2
Introduzione
In questo capitolo verrà presentato il modello delle Zone Individuali di Funzionamento Ottimale (Individual Zone of Optimal Functioning, IZOF) proposto alla fine degli anni Settanta da Hanin (Hanin, 1978). Originariamente centrato sulla relazione ansia-prestazione, nel tempo il modello è stato espanso al fine di incorporare, secondo un approccio olistico, gli stati psicobiosociali correlati alla prestazione all’interno dei quali l’esperienza emotiva è concepita come una componente cruciale (Hanin, 1997, 2000, 2007).
L’importanza di tale modello risiede nel fatto che costituisce un framework concettuale completo per descrivere, predire, spiegare e permettere il controllo delle esperienze soggettive ottimali e disfunzionali connesse alle prestazioni individuali di successo e scadenti (Robazza, 2006).
Prima di presentare il modello, sarà utile riflettere su alcune definizioni delle emozioni e delle esperienze emozionali proposte in ambito sportivo.
Emozioni ed esperienze emozionali: alcune definizioni
Nella letteratura scientifica, e in particolare nell’ambito della psicologia dello sport, i termini di emozione, umore, sentimento e affetto sono spesso trattati come sinonimi e
usati in maniera intercambiabile, nonostante si tratti di concetti relativamente indipendenti.
Al di là delle inconsistenze esistenti, diversi autori (ad es. Jones, 2003) hanno impiegato la definizione di emozione data da Deci (1980), nella quale “l’emozione, che può scaturire da uno stimolo reale o immaginato, media e fornisce energia ai comportamenti successivi”. Tre sono gli elementi principali della definizione di Deci: la risposta fisiologica (riguardante i visceri e la muscolatura), l’esperienza soggettiva, e l’espressione attraverso cambiamenti facciali e tendenze all’azione.
La risposta fisiologica durante una particolare emozione può essere specifica e coinvolgere il sistema nervoso autonomo (Lacey & Lacey, 1970), provocando cambiamenti nella frequenza cardiaca, nella pressione sanguigna, nella risposta di conduttanza cutanea e nel funzionamento viscerale. Riguardo a quest’ultimo, è stato dimostrato che l’autopercezione del cambiamento dell’attività viscerale è una componente chiave dell’esperienza emotiva (Robazza et al., 1999, 2000).
Con “esperienza soggettiva” dell’emozione Deci si riferisce invece a ciò che il soggetto percepisce durante un particolare episodio emotivo. A questo riguardo è opportuno citare la teoria cognitivo-motivazionale-relazionale di Lazarus (2000), la quale fornisce una descrizione dettagliata dei processi cognitivi coinvolti nel generare specifiche emozioni nella vita di tutti i giorni e nell’ambito sportivo. Ciò che occorre sottolineare ai fini del presente lavoro è l’idea che le emozioni siano parte di una relazione mutevole tra la persona e l’ambiente e che emergano quando l’individuo valuta una situazione come positiva o negativa per il suo benessere (significato relazionale). Viene suggerita una relazione bidirezionale tra emozione e cognizione e secondo Lazarus il ruolo causale della cognizione è una condizione necessaria e sufficiente, nel senso che le emozioni non possono emergere senza qualche tipo di pensiero e che i pensieri sono capaci di produrre emozioni. Il fatto che ci si riferisca al pensiero e alla cognizione come elementi necessari e sufficienti non significa che il processo di attivazione emotiva avvenga necessariamente a livello cosciente e volontario. L’emergere di un’emozione può avvenire anche in modo automatico, ad un livello di elaborazione subcosciente, ed è probabile che molte “valutazioni” implichino un mix di entrambe le modalità cognitive (volontaria ed automatica). Oltre alla componente cognitiva, d’altronde, il modello di Lazarus prevede anche una componente motivazionale, che include gli scopi personali (con la rispettiva gerarchia di rilevanza, la congruenza o incongruenza degli stimoli) e credenze circa sé stessi, il mondo e le risorse personali.
Tornando alla definizione di emozione data da Deci, dopo la risposta fisiologica e l’esperienza soggettiva le tendenze all’azione sono un ulteriore e rilevante aspetto da tenere in considerazione. Sono concettualizzate come stati di prontezza all’azione e risultano spesso in comportamenti di avvicinamento ed evitamento, a seconda del tipo di emozione: ad esempio, la rabbia può portare ad un comportamento di attacco, mentre la paura a volte può portare all’attacco, altre alla fuga e altre ancora al blocco dell’azione (risposta di freezing). In ambito sportivo, non vi è dubbio che l’energia fisica dell’attivazione intrinseca all’emozione sia particolarmente rilevante, poiché l’energia può migliorare la prestazione quando propriamente utilizzata ma avere effetti dannosi se lasciata fuori controllo (Robazza, 2006).
A differenza della definizione di emozione descritta fin qui, all’interno della prospettiva olistica adottata da Hanin (1997, 2000) l’emozione è stata concettualizzata come una componente specifica dello stato psicobiosociale esperito dall’atleta. Hanin ha identificato sette modalità di base di uno stato psicobiosociale: cognitiva, emotiva, motivazionale, corporea, motoria-comportamentale, operazionale, e comunicativa. Queste sette modalità interrelate fornirebbero una descrizione relativamente completa di uno stato prestazionale, incluse le esperienze e le loro manifestazioni. Riguardo all’esperienza emotiva soggettiva, Hanin ha recentemente distinto tre aspetti esperienziali interrelati: l’esperienza di stato (o stato emozionale), come componente situazionale e dinamica; l’esperienza di tratto (o emozionalità), come componente relativa a patterns relativamente stabili; e la meta-esperienza , o meta-emozione, come componente riguardante quanto appreso dalle passate esperienze di successo e insuccesso, e le relative credenze, atteggiamenti e preferenze (Hanin, 2007).
Il modello IZOF applicato all’ansia
Come accennato nell’introduzione del capitolo, il modello IZOF è stato inizialmente centrato sulla relazione ansia-prestazione (Hanin, 1978), e proposto per spiegare la grande variabilità osservata nella valutazione pre-competizione di migliaia di partecipanti in molti sport differenti. Il capisaldo del modello era che ciascun atleta possiede un proprio range (zona) di intensità d’ansia pre-prestazione ottimale, all’interno del quale molto probabilmente occorreranno le prestazioni migliori. Tuttavia, se il livello d’ansia uscirà fuori dalla zona ottimale, molto probabilmente la prestazione sarà danneggiata. Ciò significa che l’intensità di ansia ottimale o disfunzionale (cioè facilitante o inibente la prestazione) potrà essere bassa, media o alta a seconda dell’individuo.
La zona ottimale è stata originariamente operazionalizzata mediante una misura del livello di ansia di stato (mediante lo STAI: vedi Paragrafo 1.3), ma tale misura fu poi abbandonata in quanto tra gli individui non differisce solamente il livello di intensità di ansia ottimale ma anche l’ampiezza del range. Alcuni autori hanno inoltre suggerito l’utilizzo di una misura specifica per lo sport, come ad esempio lo CSAI-2 di Martens e colleghi (vedi Paragrafo 1.3).
Nonostante ci siano state diverse dimostrazioni della variabilità interindividuale nei livelli di ansia ottimale all’interno di diversi sport (si veda Raglin & Hanin, 2000) e della validità della nozione di “zona ottimale” applicata all’ansia nella predizione della prestazione atletica individuale, nel tempo è apparso necessario espandere la tradizionale relazione ansia-prestazione per includere emozioni diverse dall’ansia.
Il modello IZOF applicato agli stati psicobiosociali
Nella versione attuale del modello IZOF, gli stati psicobiosociali sono definiti come manifestazioni situazionali, multimodali e dinamiche del funzionamento umano globale (Robazza, 2006). Sono descritti nei termini di cinque dimensioni correlate: forma, contenuto, intensità, contesto e tempo (Hanin, 1997, 2000, 2007). Le prime tre dimensioni descrivono la struttura delle esperienze e meta-esperienze individuali, mentre le ultime due sono associate alla dinamica dell’esperienza individuale (Figura 5).
Figura 5. Modello IZOF: dimensioni degli stati psicobiosociali correlati alla prestazione. Tratta da Robazza (2006)
La dimensione della forma include le sette componenti dello stato psicobiosociale viste sopra (paragrafo 2.2), ossia la componente cognitiva, emotiva, motivazionale, corporea, motoria, operazionale e comunicativa. Tali modalità interattive costituiscono, per un individuo, uno stato psico-bio-sociale correlato alla prestazione, nel quale sono appunto rappresentati gli aspetti psicologici (cognitivi, emotivi, motivazionali), biologici (corporei e motori) e sociali (operazionali e comunicativi). Esiste un supporto empirico per questa nozione multipla della dimensione della forma, ma la maggior parte delle ricerche si è concentrata sulle componenti emotive, motivazionali e corporee (ad es., Robazza & Bortoli, 2003).
La dimensione del contenuto è concettualizzata all’interno di due fattori interagenti, ossia il tono edonico (piacevole o spiacevole) e l’impatto funzionale sulla prestazione (ottimale o disfunzionale). Dall’interazione di questi due fattori derivano quattro categorie di contenuto: (1) piacevole-funzionale (P+), (2) spiacevole-funzionale (N+), (3) spiacevole-disfunzionale (N-), e (4) piacevole-disfunzionale (P-). Emozioni piacevoli e spiacevoli di diversa intensità possono esercitare sulla prestazione effetti benefici, negativi o entrambi gli effetti, a seconda del loro significato idiosincratico e della loro intensità. Tale struttura a quattro dimensioni incorpora una costellazione di emozioni idiosincratiche e dipendenti dal compito che l’atleta può provare prima, durante e dopo prestazioni di successo o scadenti. Gli stessi due fattori del tono edonico e della funzionalità sono stati utilizzati in riferimento ai sintomi corporei dell’attivazione emotiva (Robazza & Bortoli, 2003) e una struttura a quattro dimensioni è stata anche suggerita da Hanin (1999) per categorizzare il contenuto situazionale delle motivazioni idiosincratiche. In questo caso i due fattori erano l’impatto funzionale sulla prestazione e la tendenza all’azione di approccio o evitamento, risultando in quattro categorie globali di contenuto motivazionale: (1) approccio ottimale (coinvolgimento efficace nel compito), (2) evitamento ottimale (ritiro efficace), (3) approccio disfunzionale (coinvolgimento inefficace), e (4) evitamento disfunzionale (ritiro inefficace).
Per quanto riguarda la dimensione dell’intensità, si tratta di una caratteristica quantitativa dell’esperienza individuale che come tale può essere espressa in misure oggettive o valutazioni soggettive su una componente selezionata dello stato di prestazione. Il livello di intensità dell’emozione è ovviamente legato al tono edonico e all’effetto funzionale, perché un’emozione che varia in intensità può essere interpretata come piacevole o spiacevole, e come funzionale o disfunzionale.
La dimensione del contesto comprende fattori situazionali (come l’allenamento o la competizione), interpersonali, intragruppo, e organizzativi che inducono contenuti e intensità specifici alle emozioni. Infatti le reazioni emotive in una determinata situazione possono essere indotte dalla relazione (reale o anticipata) con l’allenatore, con i compagni, e con gli avversari. Inoltre dipendono dalle credenze, determinate e codificate culturalmente, dei partecipanti circa gli effetti attesi di specifiche emozioni sulla prestazione e circa le regole delle emozioni mostrate in gruppo (Robazza, 2006).
Infine, la dimensione del tempo coinvolge le dinamiche temporali topologiche (fasi, cicli, sequenziamento, periodicità, timing) e metriche (durata, frequenza) delle esperienze correlate alla prestazione. Gli studi effettuati sulle dinamiche a breve termine pre-, durante e post-pretazione hanno indicato che il contenuto emozionale e l’intensità variano dall’allenamento alla competizione e dopo un successo o un fallimento. In particolare, sembra che il contenuto non vari molto in allenamento mentre parecchio durante la competizione.
Predizione dell’impatto delle emozioni sulla prestazione
Come si evince dalla descrizione precedente, secondo il modello IZOF le emozioni piacevoli e spiacevoli possono risultare utili, nocive o entrambe, a seconda della valutazione individuale. Ne deriva quindi che un’emozione può avere un effetto benefico per un atleta ma influenzare negativamente un altro. Inoltre, ciascun atleta può esperire diverse intensità di una stessa emozione come funzionali o disfunzionali.
Esistono dunque effetti di inversione nell’impatto funzionale e nella preferenza edonica di un’emozione e in entrambi i casi appare critica la meta-esperienza, ossia le conoscenze, credenze e atteggiamenti dell’atleta verso le emozioni (Hanin, 2007). Ad esempio, un atleta che esperisce la collera come utile può anche percepirla come piacevole in confronto ad un compagno di squadra che la esperisca nociva e quindi spiacevole (Robazza, 2006).
Un aspetto molto interessante del modello IZOF è la capacità di predizione dell’impatto totale delle emozioni sul compito, il quale deriva dall’interazione degli effetti emozionali facilitanti e nocivi. Il modello predice una prestazione di successo quando le intensità funzionali delle emozioni (sia piacevoli che spiacevoli) rientrano all’interno della zona ottimale individuale e, allo stesso tempo, le intensità disfunzionali sono fuori dalla stessa. In tal modo vengono combinati gli effetti massimamente facilitanti e minimamente nocivi (condizione definita “in zona”). Al contrario, si predice una prestazione deficitaria quando le intensità emozionali disfunzionali si trovano nella zona non ottimale e allo stesso tempo quelle funzionali fuori dalla zona ottimale. In questo caso si verificano effetti altamente inibitori e minimamente facilitanti . (condizione definita “fuori zona”). Infine, il modello prevede risultati intermedi quando le intensità emozionali sia funzionali che disfunzionali sono fuori dalle zone ottimali e non ottimali, oppure dentro le due zone. In questi casi si avranno rispettivamente bassi effetti facilitanti e nocivi, oppure alti effetti facilitanti e nocivi.
Da quanto detto, risultano evidenti le caratteristiche dinamiche e bidirezionali della relazione emozione-prestazione.
Spiegazione della relazione emozione-prestazione secondo l’IZOF
Nel modello IZOF l’impatto delle emozioni sulla prestazione viene spiegato attraverso i due costrutti di “mobilizzazione” ed “uso” dell’energia” (Hanin, 1997, 2000), intesa in senso ampio in relazione a fattori sia psicologici che fisici, come il vigore, la vitalità, l’intensità del funzionamento mentale, la persistenza nello sforzo e la risolutezza nel raggiungere gli scopi. Gli effetti funzionali e disfunzionali delle emozioni dipenderebbero dalla quantità di energia originata (sforzo, intensità) e dall’utilizzazione di tale energia (efficienza, elaborazione ottimale delle informazioni).
Si assume che le emozioni funzionali-piacevoli (come il sentirsi energici e motivati) e funzionali-spiacevoli (come il sentirsi tesi e nervosi) riflettano la disponibilità di risorse e il loro effettivo reclutamento e uso, con le seconde implicate più nella produzione che nell’utilizzazione dell’energia. Le emozioni disfunzionali-piacevoli (come il sentirsi tranquilli e rilassati) invece rifletterebbero una mancanza o perdita di energia (ridotto sforzo) oppure un reclutamento e un uso inefficace. Infine, le emozioni disfunzionali-spiacevoli (come il sentirsi insicuri e pigri) determinerebbero un cattivo uso dell’energia a causa di un suo spostamento verso cue irrilevanti per il compito.
Secondo questa ottica l’impatto totale delle emozioni sulla prestazione è predetto meglio da effetti interattivi piuttosto che effetti separati di categorie a contenuto emotivo. Ad esempio, con emozioni (piacevoli e spiacevoli) funzionali operative sono predetti gli effetti massimamente facilitanti e minimamente disfunzionali (condizione detta “in zona”); viceversa, quando le emozioni disfunzionali sono le sole operative, sono predetti gli effetti massimamente debilitanti (condizione detta “fuori dalla zona”). Sono predetti effetti misti quando l’atleta sperimenta un mix di emozioni sia funzionali che disfunzionali.
Data l’importanza dell’accesso effettivo all’energia disponibile e di suo uso efficiente per la qualità della prestazione atletica, si assume che uno stesso livello possa essere raggiunto attraverso un aumento dello sforzo totale, un uso abile delle risorse disponibili o attraverso entrambi i processi (Hanin, 2000). Da qui l’importanza, per l’atleta, di avere controllo sui propri stati psicofisici.